Lavorare in uno studio dentistico in gravidanza

Buongiorno, dottore.

Dallo scorso mese sto provando a diventare madre. Ho cominciato a chiedere al mio consulente del lavoro dettagli e informazioni su come devo comportarmi in caso di gravidanza.

Io lavoro in uno studio dentistico come assistente: assisto il medico anche in chirurgia, sviluppo radiografie, e soprattutto abbiamo il radiografico nella stanza di lavoro. Ovviamente non le parlo di ciò che pensavo fosse pericoloso, come l’inalazione dei vapori delle resine. Mi è stato detto che ciò non significa che il mio lavoro possa essere pericoloso.

Visto che una maternità anticipata mi porterebbe a una retribuzione solo del 30%, io andrei volentieri a lavorare. Ma volevo avere un altro parere.

La ringrazio.

Ilaria

Ebbene occorrerebbe vedere la valutazione dei rischi. Comunque mi azzardo.

Rischio radiazioni ionizzanti: ebbene se non è separata dalla fonte radiogena questo mi sembra un rischio reale per il feto.

Liquidi di sviluppo e fissaggio: sono prodotti potenzialmente tossici per la madre e per il feto, anche se negli ultimi tempi ci sono prodotti più sicuri. Si faccia dare l’elenco dei prodotti chimici con i quali viene a contatto, stesso discorso dicasi per le resine.

Se c’è il medico competente starà a lui giudicare se potrà continuare quelle mansioni, altrimenti raccolga più informazioni possibili e mi faccia sapere.

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Dott. Guido Marchionni, Direttore scientifico, dirigente di Medicina del lavoro, docente di Primo Soccorso.

Interazioni con il lettore

È stata più volte dimostrata l’esistenza di un legame tra l’aumento dell’occupazione femminile e la crescita del PIL. Guardando ai dati Istat 2015 relativi all’occupazione femminile (Italia verso Europa 2020, 2015) si evince che la Svezia è il paese in Europa in cui più donne lavorano (77,6%), mentre l’Italia si attesta al 50,3%, meglio solo della Grecia (44,3%). Il fatto che l’Italia abbia ancora dei tassi di occupazione femminile più bassi rispetto alla media europea ci permette però di parlare di un “vantaggio comparato” da sfruttare. Di conseguenza l’occupazione femminile non è un interesse limitato alle sole donne che vogliono emanciparsi, ma riguarda la popolazione nella sua interezza: far crescere l’occupazione femminile deve essere un obiettivo strategico per il nostro paese. Vi raccontiamo il caso dello Studio Dentistico Balestro, che ha saputo trovare soluzioni efficaci per agevolare la conciliazione vita-lavoro delle proprie collaboratrici. 

Gli ostacoli per le lavoratrici

Una donna che vuole entrare nel mondo del lavoro, incontra come primo ostacolo il fatto di dover abbandonare quelle attività di cui si occupava a tempo pieno, come la cura della casa e della famiglia. L’aggiunta di uno stipendio generalmente permette di far fronte ad alcune spese che compensano l’assenza della donna (donna delle pulizie, baby-sitter e casa di cura), ma nessun servizio a pagamento riesce ad esonerare interamente la donna lavoratrice da tutti i compiti casalinghi che le competono – e inoltre opportuno sottolineare che l’obiettivo delle politiche di conciliazione è quello di inserire le donne nel mondo del lavoro, ma non di escluderle dall’ambiente familiare. Un altro ostacolo che limita l’occupazione femminile è che molte donne dopo il parto preferiscono o si trovano obbligate ad interrompere il rapporto di lavoro con l’azienda, per paura di non potersi prendere cura dei figli adeguatamente. Su questa scelta incidono anche le spese relative alla cura dei figli neonati, la carenza di posti disponibili all’interno degli asili nido e l’assenza di familiari che possano offrire sostegno. Queste problematiche generano nuovi bisogni a cui il welfare deve cercare di trovare risposte: è per questo che si sente sempre più spesso parlare del tema della conciliazione vita-lavoro.

Dal lato delle aziende, invece, il principale fattore di resistenza all’assunzione di donne di età compresa fra i 20 ed i 40 anni è sicuramente dato dal “rischio” maternità, il cui “costo” non comprende solo la necessità di trovare una nuova collaboratrice e continuare a sostenere parte dello stipendio di quella assente, ma riguarda soprattutto problemi organizzativi e competenze in “uscita”.


L’esperienza dello Studio Dentistico Balestro

Lo Studio Dentistico Balestro (SDB) è una piccola impresa vicentina composta da un organico tutto al femminile che ha saputo reagire in maniera propositiva a quelle questioni che nelle piccole realtà tendono spesso a generare tensione tra la dipendente e il datore di lavoro. È interessante analizzare il caso dello SDB perché traccia un percorso che molte aziende potrebbero intraprendere per smettere di considerare la maternità come un problema insormontabile.

Lo SDB è stato fondato nel 1993 ed è oggi un’impresa tutta al femminile che ha saputo guardare con lucidità al passato e comprendere alcune dinamiche improduttive che si erano riprodotte negli anni. Riconoscendo di aver sottovalutato in passato il rischio biologico, fisico, chimico e dello stress correlato alla gravidanza, l’azienda ha deciso di intraprendere un percorso di valorizzazione delle risorse umane come elemento cruciale per lo sviluppo, ma anche di valutare i costi sociali ed umani di scelte gestionali non sostenibili sul lungo periodo. Da parte loro, anche le collaboratrici non avevano sempre interpretato il ruolo di gestanti/mamme nel modo più adatto: maternità anticipate, spesso richieste – e concesse –senza effettiva necessità, non solo complicavano la gestione imprenditoriale, ma dimostravano la tendenza a una visione distorta di un evento che sarebbe del tutto compatibile con una normale attività lavorativa.

Oggi lo SDB non considera più la donna che si trova nella fase di maternità come una risorsa sostanzialmente residuale rispetto alle strategie operative dello Studio: la collaboratrice/madre è considerata una risorsa per l’impresa grazie ad una nuova visione e interpretazione del suo ruolo, ma anche grazie a nuove e differenti soluzioni gestionali. La maternità rimane una sfida, non a causa dei costi a carico dell’azienda o di un calo di rendimento della neomamma che torna a lavoro, ma piuttosto per le difficoltà organizzative connesse. Dal 2015 lo SDB ha deciso quindi di provare a conciliare produttività e maternità con un’organizzazione del lavoro più efficiente ed efficace, trasformando le criticità in opportunità. Dallo Studio raccontano: “Vogliamo che la mamma viva appieno le gioie dei primi, cruciali, 12 mesi di vita del bambino senza tagliare il “cordone ombelicale” col lavoro, mantenendo intatto il suo rapporto con lo Studio, con le colleghe e contribuendo al buon andamento dell’impresa con una diversa interpretazione del suo ruolo. Ma, fatto nuovo e significativo, mantenendo un’effettiva autonomia economica, fonte di benessere, autostima e garanzia di continuità operativa e fiducia nel futuro. Maternità, famiglia, smart working, sostenibilità, flessibilità sono le parole chiave di questo nostro progetto pilota”.


I progetti di welfare aziendale

I due progetti di welfare aziendale elaborati dallo SDB risultati particolarmente efficaci su questo fronte riguardano l’adozione di un orario di lavoro family friendly e il sostegno economico alla maternità.

Lo SDB nel 2015 è passato da un orario 9-20 ad un orario family friendly (da lunedì a venerdì dalle 9 alle 17, il sabato dalle 9 alle 13). Questo orario permette all’azienda di fidelizzare le lavoratrici che godono di un orario che lascia più tempo per la famiglia, garantisce a lungo termine professionalità competenti e al contempo assicura un alto livello delle prestazioni sanitarie e dei servizi offerti. L’orario continuato permette infatti a chi lavora di farsi visitare durante la pausa pranzo oppure il sabato e assicura una maggiore copertura rispetto ai precedenti orari, perché lo studio lavora anche durante il mese di agosto, le vacanze natalizie e pasquali. Prima di introdurre il nuovo orario lo SDB ha sottoposto un questionario ai pazienti per valutare la reazione al nuovo orario. La figura 1 mostra che nel complesso l’iniziativa è stata percepita positivamente sin dal primo anno e si può notare che dal 2013 al 2015 le valutazioni positive sono cresciute.

Figura 1. Questionario di soddisfazione dei pazienti rispetto al nuovo orario di apertura.

Lavorare in uno studio dentistico in gravidanza

Fonte: elaborazione dell’autore.

Il progetto “Sostegno economico alla maternità” ha previsto la definizione di tre scenari:

  • A. maternità standard: rappresenta la normale condizione di gravidanza/maternità senza ulteriori interventi di welfare aziendale;
  • B. asilo nido: lo SDB contribuisce alle spese per l’asilo nido (50% della spesa dal tredicesimo al trentaseiesimo mese di vita del bambino);
  • C. maternità attiva: durante la maternità (dal quarto al nono mese) la collaboratrice vive appieno la sua esperienza di mamma, ma risulta comunque operativa per lo SDB in modi più “agili”: telelavoro, flessibilità oraria, accesso alle nursery durante la presenza operativa a progetto (es. digitalizzazione dell’archivio clinico). La mamma rimane a continuo contatto con il bambino anche per eventuali fasi di allattamento, ma recupera la retribuzione di base salvaguardando la propria indipendenza economica.

Tenendo conto che lo stipendio medio di una collaboratrice a tempo pieno (40 ore settimanali) è di 1.300 euro mensili (stipendio base 1.100 euro più gli incentivi legati alla produttività pari a 200 euro), vediamo nella tabella 1 quali sono le conseguenze in termini economici degli scenari presentati.

Tabella 1. Gli scenari possibili nell’ambito del progetto “Sostegno economico alla maternità”

Lavorare in uno studio dentistico in gravidanza
Fonte: elaborazione dell’autore.

In tutti e tre gli scenari, durante i primi 7 mesi di gravidanza la lavoratrice continua a collaborare con lo SDB e percepisce 1.300 euro al mese (si assume che la madre non usufruisca della maternità anticipata). Nei 5 mesi seguenti (8-3) la collaboratrice non presta servizio in studio e percepisce lo stipendio base (1.100 euro). Le differenze nelle entrate tra le opzioni scelte si percepiscono a partire dal quarto mese che segue la gravidanza: nello scenario A e B la donna non rientra a lavoro e percepisce il 30% dello stipendio (400 euro al mese). Nello scenario C invece la mamma è “attiva” e salvaguarda così la sua indipendenza economica (1.100 euro al mese fino alle fine del primo anno di vita del bambino). Dal 13esimo al 36esimo mese, negli scenari B e C la madre lavora e lo SDB contribuisce alle spese per l’asilo nido (250 euro al mese), mentre nello scenario A le spese per l’asilo nido sono totalmente a carico della collaboratrice. Considerando che una dipendente a regime normale in 45 mesi guadagna 58.500 euro, è evidente che la maternità provoca una grande riduzione del reddito durante il primo anno di vita del bambino negli scenari A e B. Lo scenario C è invece economicamente più interessante: le entrate corrispondono all’85% di quelle di una dipendente a regime normale, mentre negli scenari A e B le percentuali sono inferiori rispettivamente 64% e del 72%.

Lo SDB permette alla futura mamma di scegliere uno degli scenari illustrati, chiedendo alle collaboratrici di evitare forme di maternità anticipata ingiustificata e proponendo, nel rispetto della libertà individuale, una responsabile programmazione della maternità a fronte del fatto che 16 delle 20 dipendenti sono in età di maternità.

Lo SDB ha saputo quindi elaborare delle proposte win-win che permettono all’azienda di non percepire più la maternità come una minaccia alla produttività e consentono alla donna di stare vicino al bambino mantenendo un livello di entrate simile a quello ordinario. L’organizzazione del lavoro gioca un ruolo fondamentale in questo contesto: è necessario passare da un’organizzazione rigida ad una flessibile, che permetta di trattare la maternità in modo responsabile e sostenibile. Lo SDB è un esempio di come uno dei problemi che tendono a limitare la presenza delle donne nel mondo del lavoro possa essere trasformato in una opportunità effettuando dei corretti investimenti in termini di welfare. C’è uno stretto legame tra benessere dei dipendenti, stima per l’azienda in cui si lavora, qualità del lavoro e produttività. Infatti, le iniziative di conciliazione vita-lavoro legate all’orario e al sostegno della maternità hanno avuto non solo un riscontro economico positivo ma hanno anche evitato una rottura tra mamma e mondo del lavoro.

#ASviS #Genere #Occupazione

Quali sono i lavori considerati a rischio per la gravidanza?

lavori che comportano il sollevamento di carichi e pesi; lavori che determinano la necessità di stare in piedi per oltre la metà dell'orario lavorativo; lavori soggetti a continue vibrazioni; lavori che espongono la lavoratrice incinta a sostanze chimiche dannose, ad agenti biologici, a radiazioni ionizzanti.

Quali lavori si possono svolgere in gravidanza?

Tabella riassuntiva di astensione da lavoro per gravidanza.

Quante ore si può lavorare in gravidanza?

Rispetto alle donne incinte e alle madri in allattamento è vietato prolungare la durata della giornata di lavoro convenuta. In ogni caso, tale durata non può in alcun caso superare le nove ore giornaliere (art. 60 cpv.

Come stare a casa dal lavoro in gravidanza?

Per poter fruire dell'astensione anticipata dal lavoro, la lavoratrice dovrà consegnare agli uffici competenti una domanda corredata dal certificato medico attestante le condizioni di gravidanza a rischio connessa esclusivamente allo stato di salute della donna.