Friedrich il monaco in riva al mare

"Il monaco sulla riva del mare" 

Di notte, sulla riva del mare, si aggira solo una figura vestita di scuro  -  sperduta nell'immensità grigia del cielo che lo sovrasta. La riga nitida dell'orizzonte divide l'acqua e l'aria. La sabbia chiara fa risaltare la sagoma dell'uomo. Che è minuscola: la sua testa non sfiora nemmeno l'orizzonte. Il contrasto fra le dimensioni non potrebbe essere più forte. Non c'è nessun raccordo tra primo piano e sfondo, tra figura e paesaggio: l'uomo e la natura sono incommensurabili. Il mare è uno specchio livido su cui volteggiano virgole bianche: i gabbiani. Il quadro fa ascoltare il silenzio di una spiaggia nordica deserta, rotto solo dal bercio degli uccelli. Le nuvole sembrano generarsi da sé, avanzando verso di noi. Incombono, brumose come fumo. Occupano i tre quarti della superficie pittorica. Niente è più difficile che dipingere le nuvole. Esse sono immateriali, informi. Quando Goethe gli chiese di illustrare le teorie meteorologiche di uno scienziato sull'origine delle nuvole, Friedrich rifiutò. Le nuvole per lui non erano materia di studio scientifico, ma metafisico: segni arcani del trascendente.

Il segni arcani del trascendente

Il quadro è di una nudità ascetica, identica a quella dello studio sulla riva dell'Elba, a Dresda, in cui fu dipinto: Friedrich vi teneva solo il cavalletto. Non una seggiola né un album, nemmeno la scatola dei colori. Niente doveva disturbare la sua concentrazione. Preparava con cura le sue tele, riempiva i quaderni di disegni meticolosi dal vero  -  alberi con tronchi e fogliame, scogliere, montagne. Ma il quadro doveva nella sua mente, come un ricordo e una visione: perché il compito del pittore non è la fedele rappresentazione della realtà davanti a lui, ma il riflesso di questa dentro di lui, nella sua anima. Solo allora poteva dipingere. 
Massima sobrietà nella selezione degli elementi pittorici e del colore, con la tavolozza arpeggiata sulle sfumature e sulle armonie del grigio. Il monaco, le nuvole e il mare. Nessuna cornice guida lo sguardo dello spettatore o aiuta a dirigerlo. Non un albero, una colonna, una quinta laterale qualunque  -  come imponeva la tradizione della pittura di paesaggio e la grammatica della visione. Con audacia, Friedrich eliminò il superfluo: rappresentò il vuoto e si avventurò verso l'astrazione pura. Le composizioni per bande orizzontali di Rothko sono state spesso paragonate a questo quadro. L'unico elemento verticale di un'immagine costruita sull'orizzontalità è il viandante sulla spiaggia. Ci volta le spalle, costringendo lo spettatore a identificarsi con lui  -  a guardare ciò che lui guarda. Indossa una tonaca. È un monaco. Ha le sembianze del pittore stesso. L'artista è un messaggero di Dio, l'arte una religione. I quadri devono far vedere l'invisibile.
Il monaco sulla riva del mare trasmette la vertigine dell'infinito. Il rapimento davanti all'assolutamente grande. Insomma, l'esperienza estetica del sublime. Che è anche smarrimento, sconfinata solitudine. Friedrich lo concepì come primo capitolo di una storia. Nel secondo, Abbazia nel querceto, raffigurava il proprio funerale. Minuscoli monaci neri accompagnano il confratello morto (il pittore) alla sepoltura: verso un rudere gotico, in una foresta scheletrita della Pomerania svedese, sulla costa del mar Baltico. Dunque il Monaco è anche una meditazione sulla morte  -  sul passaggio dal finito all'eterno. La spiaggia è un limite, l'orlo del mondo. Come la riva dell'Acheronte. In una prima versione, Friedrich aveva dipinto due navi che veleggiavano all'orizzonte. Nella seconda metà della sua vita, e fino alla morte, avrebbe dipinto spesso velieri. Vascelli reali e fantasmatici, veicoli di viaggi reali e simbolici  -  verso l'altrove, l'ignoto, l'aldilà. Qui, invece, li ricoprì di pittura, cancellandoli. Nulla deve frapporsi fra il monaco e l'infinito. Il monaco è dunque il pittore stesso, ogni spettatore, ma anche un'anima sul punto di varcare il confine  -  e scoprire il mistero dell'universo.
Gli scrittori, i pittori, i musicisti e i filosofi romantici  -  ospiti provvisori e a disagio nel mondo  -  erano ossessionati dalla morte. Leggevano i Canti di Ossian e i versi di Novalis; la nostalgia dell'infinito li induceva talvolta al suicidio o alla follia. Nel 1808-10, Friedrich condivideva le loro aspirazioni e le loro angosce. Malinconico dall'indole "strana, tetra e dura", in gioventù seminava nei propri quadri tombe, cippi, croci, civette, cimiteri. Ma non vedeva la morte come annientamento. Credeva in Cristo, in Dio, nella resurrezione. Per vivere in eterno, la morte era necessaria: non una fine, ma un passaggio. Il monaco è solo nel mondo. La ragione e la conoscenza non bastano a spiegarlo. Nel suo cammino non troverà soccorso né salvezza. Eppure deve continuare a cercare.
Brentano, von Arnim, Kleist e Goethe ammirarono l'atmosfera e la lugubre bellezza del quadro, ma rimasero anche atterriti e sgomenti da questa "pittura del nulla". Così chi lo comprese davvero fu un ragazzino di 15 anni. Non bisogna meravigliarsi. L'adolescenza aspira all'assoluto. Il ragazzino convinse il padre ad acquistarlo. Il padre era Federico Guglielmo III di Prussia, e il ragazzino il principe ereditario: sarebbe diventato sovrano a sua volta. Il regale apprezzamento cambiò la vita di Friedrich. Il malinconico misantropo fece parte della comunità, partecipò con slancio (da artista, non da soldato) alle guerre di liberazione contro Napoleone, sognò pace, libertà e democrazia. L'entusiasmo svanì presto, come il successo, la gloria e la ricchezza. Il mistico Friedrich ricevette dai contemporanei critiche sempre più perfide, venne dimenticato e morì indigente e incompreso. Ma aveva già divorziato dal suo tempo. La malinconia virò in depressione e mania di persecuzione. Continuò a dipingere cieli, velieri, naufragi  -  la terribilità della natura e la fragilità dell'uomo e delle sue illusioni. Friedrich si sapeva minuscolo, irrilevante come un granello di sabbia. Eppure capace di pensare l'infinito, e di rappresentarlo. L'aveva detto in questo quadro, dipinto nella maturità dei suoi trentacinque anni. L'uomo sta in piedi sulla riva del mare, ritto, quasi eroico  -  un orgoglioso punto esclamativo nell'immensità del cosmo.

Il panteista che cercava Dio

Friedrich il monaco in riva al mare

Friedrich ritratto da Gerhard Von Kugelgen

L'Opera n. 50

Friedrich il monaco in riva al mare

la Repubblica del 15-12-2013

Friedrich il monaco in riva al mare

IL LIBRO DELLE VISITE

Armando Sodano: "Solo e smarrito davanti alle vertigini dell'infinito, lui, l'artista, è un messaggero dal compito gravoso: mostrarci, con la sua opera, l'invisibile". (ArS)

L'Autore

SusaSnne valadon

Caspar David Friedric

Friedrich il monaco in riva al mare

Caspar David Friedrich: autoritratto all'età di 36 anni

Biografia

Friedrich (1774-1840) è il pittore tedesco che per primo entrò nel clima del romanticismo tedesco. La Germania ebbe un ruolo fondamentale nella definizione delle teorie romantiche sia grazie ai movimenti letterari quali lo «Sturm and Drung» sia grazie all’opera di alcuni pensatori e filosofi quali von Schlegel e Schelling. Ma l’arte romantica per eccellenza della Germania fu soprattutto la musica che ebbe come massimo interprete Ludwig van Beethoven.

Friedrich è interessato, nella poetica del romanticismo, soprattutto al lato mistico della natura. La prima opera che lo rese noto fu la «Croce sulla montagna» o pala di Tetschen, del 1808. Questa pala d’altare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere un immagine religiosa è una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. In essa, tuttavia, è chiaramente avvertibile una suggestione religiosa data dallo spettacolo della natura, intesa come opera divina, in cui la presenza della croce serve principalmente ad elevare il nostro pensiero a Dio.

Questi paesaggi di Friedrich sono lo spettacolo della natura ma servono anche a misurare la piccolezza dell’uomo nel confronto con tale vastità di orizzonti. E la categoria che più sfrutta questa pittura è proprio il sublime, così come lo aveva definito Kant: quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato dall’assolutamente grande e incommensurabile.

Il sentimento panico della natura, sede dell’infinito che ci riporta a Dio, è la maggiore caratteristica di Friederich. Ed è ciò che lo distingue da altre tendenze romantiche anche tedesche e di ispirazione religiosa, quali i Nazareni, che invece perseguirono una immagine della religione e della fede più aderente ai modelli letterari e medievali. Friedrich, nel cercare Dio solo nella sua creazione, è sicuramente più originale ponendosi come il maggior pittore romantico tedesco.

Le opere
Una selezione delle opere

Dall'archivio di Repubblica, l'estratto di un articolo di Cesare De Seta sul pittore tedesco

Il destino lega gli uomini, mi veniva di pensare, ponendo attenzione alla data di nascita di Caspar David Friedrich: 1774. Nello stesso anno veniva pubblicato I dolori del giovane Werther di Goethe, manifesto di un nuovo sentimento della natura, della vita e della morte: il poeta di Weimar fu un appassionato ammiratore e collezionista del pittore. Caspar, nato nella piccola cittadina di Greifswald sul mare Baltico, perde la mamma a sette anni e poi uno dei nove fratelli annega per salvarlo dal furia del mare. Un'infanzia non fortunata lo segna. A vent' anni il suo primo maestro di pittura l'induce a iscriversi all'Accademia di belle arti di Copenaghen: fa il suo tirocinio e si fa apprezzare dal maestro Nicolai Albidgaard, pittore colto, legato al gruppo letterario di quello che viene indicato come il Rinascimento nordico: la poesia di Klopstock, le saghe nordiche, il mito gaelico di Ossian sono temi comuni al gruppo. Sono queste letture e questi riferimenti a formare la vena melanconica del giovane. Così come la severa educazione pietista è parte della sua poetica intimista. In esordio infatti esegue i ritratti di molti familiari e autoritratti a penna o a matita, sono assai belli al pari degli esercizi di calligrafia gotica.

Nel 1798 si trasferisce all'Accademia di Dresda, ma sono le magnifiche collezioni pubbliche della Gemaldegalerie a sollecitarlo: più che la scuola preferisce osservare van Ruysdael, Poussin e Dughet, frequentare i boschi e i paesaggi che circondano questa piccola Atene del nord. Cespugli, mulini, giganteschi alberi, piccole case, ponti e cippi tornano nei suoi album che poi, spesso, finisce in studio ad acquerello: dipinge talune scene per I Masnadieri di Schiller. Altro nume della cultura romantica. Nulla ancora sembra presagire che dalla crisalide stia per nascere una farfalla, che comincerà a volare nell'isola di Rugen nella primavera del 1801: i miti dei bardi nordici sono di casa, la memoria di Philipp Hackert che da giovane aveva amato e dipinto quest' isola perduta nei mari del nord. Ma Hackert, come Reinhart e Koch dopo di lui, erano fuggiti in Italia. Friedrich resta nell'isola e incomincia dipingere paesaggi: campagne, coste, navi alberate, barche affondate alle deriva, grandi massi.
(...) Lentamente Caspar comincia a sperimentare la pittura ad olio ed intento ad una tela di grandi dimensioni lo raffigura nel suo atelier l'amico Georg Friedrich Kersting (1811), con lui intraprende un viaggio nelle montagne del Rienergesbirge a sud di Dresda. Inizia il suo lungo peregrinare: i suoi paesaggi di montagna sono pervasi da una volontà di assoluto e la filosofia della natura di Schelling e dei fratelli Schlegel sono il retroterra della sua poetica panteista, così come la poesia di von Kleist e, più tardi, i Lieder di Franz Schubert sono il sottofondo sommesso della pittura di Friedrich. Non c' è tra i pittori della sua generazione qualcuno che abbia saputo coniugare con splendida pulitezza e pari intensità, le luci della notte, i riverberi delle stagioni sui monti e le diverse ore del giorno dall'alba al tramonto. Cime acuminate emergono possenti e silenziose in tante sue tele. Poche figure umane, qualche croce.Una fredda vena mistica attraversa la pittura di Friedrich: non ci sono fervori controriformistici in questo panteismo religioso, quanto la vocazione ad una dimensione dell'uomo che esprime una profonda nostalgia, una Sehnsuscht verso l'infinito. Paesaggi avvolti nella nebbia e tra le nuvole o bagnati dalla coltre bianca delle nevi sono i mezzi attraverso cui il pittore prova a comunicare con l'Assoluto, con Dio stesso. E' un monologo o un dialogo? Non saprei dire. Celebre tra questi dipinti d' ispirazione religiosa è la Croce sul Monte (1807-8): è un paesaggio con la luce del tramonto e quel Cristo lì in alto, infisso nella solida roccia, è simbolo della fede che non conosce tramonto. La critica s' è sempre industriata a decifrare e le metafore e i simboli della sua pittura: commentati dai suoi contemporanei Brentano, Goethe, Kleist, Tieck, Arnim.
Nei suoi pochi scritti sull'arte e nelle lettere (una selezione fu edita da SE, 1989, con una bella prefazione di Roberto Tassi) Caspar talvolta ci aiuta, altre volte divaga e complica le cose. Non credo che sia questa la via per godere a fondo della sua arte, direi persino che tali decifrazioni e spiegazioni sono uno schermo se non un impedimento. Qui si vedono i capolavori più famosi del pittore come l'Abbazia nel querceto dove una rovina gotica convive con alberi scheletriti, ma il migliore Friedrich è quello delle rocce di Rugen che sprofondano in un mare azzurro: un paesaggio che assomiglia in modo impressionante a quello che si vede dal belvedere della Migliara a Capri.
Negli anni della maturità emergono paesaggi lunari con uomini che stanno in silenzio accanto a immense rovine di architetture gotiche. Numerosi i paesaggi di mare: quasi sempre notturni con banchine, poche desolate sagome umane, velieri, battelli e barche. Il mare lo seduce con la sua tremenda malia non meno dell'alta montagna: gli estremi si toccano e Friedrich dipinge il sublime. Il Naufragio della Speranza (1823 - 4) è uno dei vertici della sua pittura: una vera nave dal nome simbolico naufraga trai ghiacci dei mari del nord. Il pittore è sconvolto dalla notizia del naufragio e lo raffigura drammaticamente. La zattera della Medusa di Géricault (1819) da il senso di come due grandi pittori possano vivere in modo radicalmente diverso un dramma del mare. Che io lo ami questo pittore è persino fin troppo evidente: quando pubblicai il mio secondo romanzo La dimenticanza volli in copertina a campo pieno La donna alla finestra (1822): la dama è vista di spalle, con un abito verde scuro, in un interno Biedermeir e guarda un porto, di cui si scorgono solo gli alberi di una nave. L'immagine è sospesa nel tempo, c' è un senso d' attesa di qualcuno che non sapremo mai se arriverà.
La malia di Caspar è questa, ci tiene sospesi in balia del mare e delle montagne, ma sa anche dirci i pensieri di una donna sola che attende qualcosa alla finestra. La sua lunga e lenta malattia mentale gli impedisce di intraprendere quel viaggio in Italia che aveva progettato cento volte: ma la sua intimità poetica non aveva bisogno di vedere il Bel Paese, un suo paese ideale l'aveva già trovato fra i monti e il mare del nord.