Fondi europei per aprire una casa di riposo

Le case di risposo sono sempre molto apprezzate sia in piccoli comuni che in grandi città. Tale richiesta accade grazie all’aumento dell’età media in Italia e nel mondo, con un maggior numero di persone che diventa quindi anziana e necessita di strutture adeguate che si prendano cura di loro nella maniera più corretta.

Offrire questo servizio è sinonimo di ottimo investimento, considerando anche che vi sono a disposizione dei finanziamenti e dei fondi stanziati appositamente per incentivare l’apertura di case di riposo.

Differenza tra Casa di Riposo e Casa di Cura

Si tende spesso a confondere la casa di riposo con la casa di cura. Si tratta però di due cose differenti e prima di procedere è quindi necessario definire in maniera più chiara quali siano le differenze tra i due tipi di strutture.

La casa di cura ospita anziani che siano almeno parzialmente autosufficienti e permette a persone affette da patologie di disporre di personale sanitario specializzato, ma non 24 ore su 24 come invece accade in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale).

La casa di riposo è invece una struttura residenziale adatta ad anziani autosufficienti. È il luogo adatto per chi necessita di un posto dover poter stare in compagnia, frequentare persone della stessa generazione e svolgere attività ricreative e sociali.

La casa di riposo offre inoltre:

  • Assistenza sanitaria
  • Preparazione dei pasti
  • Pulizia delle parti comuni e non comuni.

Ogni paziente dispone generalmente della sua stanza con la possibilità di condividerla con un’altra persona in caso di coppia.

Ovviamente la qualità dei servizi varia in base al tipo di struttura e alla rata mensile che si andrà a pagare.

Chi Eroga i Finanziamenti

I finanziamenti per l’apertura di una casa di riposo sfruttano i fondi europei attraverso bandi di concorso pubblicati dalle regioni.

Questo ti permetterà di usufruire di agevolazioni per quanto riguarda i tassi di interessi generalmente applicati ad un finanziamento. In alcuni casi ti permette di ottenere anche finanziamenti a fondo perduto, ma sarà necessario verificare quali siano le condizioni imposte, che vanno ovviamente valutate di caso in caso.

Qualora invece si disponga di garanzie solide sarà comunque possibile richiedere un finanziamento per aprire una casa di riposo, semplicemente rivolgendosi presso un qualsiasi istituto di credito o società finanziaria.

Quali sono i Requisiti

Aprire una casa di riposo richiede l’investimento di cifre abbastanza alte e per ottenere un finanziamento sarà necessario essere in possesso di requisiti fondamentali per avere accesso al credito.

Bisogna innanzitutto dimostrare di essere persone in grado di aprire questo tipo di attività ma soprattutto di portarla avanti in maniera adeguata.

Sarà poi necessario fornire delle garanzie reddituali solide che permettano quindi a chi concederà il prestito di avere la certezza di un rimborso.

Il reddito potrà essere dimostrato tramite busta paga in caso di lavoratore dipendente o tramite il modello unico per la dichiarazione dei redditi per i lavoratori autonomi in possesso di Partita Iva. Per i pensionati invece la garanzia reddituale potrà essere dimostrata presentando il cedolino della pensione.

Qualora invece il reddito risulti  insufficiente o le condizioni reddituali risultino non idonee sarà possibile richiedere l’intervento di un garante, ovvero una figura generalmente ricoperta da un familiare o da un amico stretto, che dovrà essere in possesso dei requisiti richiesti e che avrà la responsabilità di rimborsare una o più rate del prestito qualora non se ne occupasse il principale titolare.

Servizioresidenze sanitarie

Residenze sanitarie. Il ministero della Salute punta a spendere fino a 1,5 miliardi: stop a babele di regole tra le Regioni, più tecnologie e umanizzazione delle cure

di Barbara Gobbi

18 novembre 2020

(visivasnc - stock.adobe.com)

3' di lettura

Punto e a capo sulle Rsa. O almeno si spera. Questo 2020 cui la pandemia ha già assegnato un posto di diritto nei libri di storia potrebbe almeno essere ricordato come l’anno zero di un nuovo modello di assistenza agli anziani. Così fragili che in Italia non siamo neanche in grado di contare quanti il virus ne abbia falcidiati, nel chiuso delle loro abitazioni, in un letto d’ospedale o nella stanza di una Rsa. Lo aveva già drammaticamente dimostrato la survey presentata a giugno dall’Istituto superiore di sanità (Iss), sui decessi nelle residenze sanitarie: il 41% dei morti erano “sospetti Covid”.
«E quell’indagine ha colto solo la punta dell’iceberg, perché appena il 40% delle strutture ha aderito. Di certo è emersa la difficoltà di censire il settore», spiega Graziano Onder, che all'Iss dirige il Dipartimento Malattie cardiovascolari, endocrinometaboliche e dell'invecchiamento.

Mancanza cronica di personale

Oggi con la seconda ondata dei contagi poco è cambiato nella sostanza: nelle Rsa circolano più dispositivi di protezione e ci si è attrezzati meglio per i tamponi, ma manca il personale e a parte le iniziative dei singoli gruppi il settore resta un far west. Tariffe, standard strutturali e setting assistenziali diversi tra Regioni e anche tra Province, nessuna classificazione univoca dei bisogni dei pazienti e quindi impossibilità di raccogliere dati certi e omogenei, scarsa preparazione sanitaria, tecnologie col contagocce, formazione degli addetti inadeguata. Il pianeta Rsa in sintesi sfugge a misurabilità e controllo di qualità. Tanto che gli stessi gestori dei principali gruppi attivi in Italia si dicono pronti a sedersi a un tavolo con il ministero per concordare criteri comuni che li mettano al riparo dal fai-da-te dei territori – alimentato dal federalismo sanitario - e diano nuova linfa al settore. Facendo emergere, si spera, anche il tanto “nero” che c’è.

Nuove risorse dal Recovery Fund

Il Covid insomma per le cure agli anziani fragili può diventare, dopo la tragedia delle morti silenziose, un’opportunità di chiarezza e qualità. In palio ci sono risorse mai viste: 1,5 miliardi di euro che figurano alla voce Rsa nell’elenco di proposte – in tutto 70 miliardi - con cui il ministero della Salute si è candidato a ottenere una fetta del Recovery Fund. Il capitolo delle cure alla terza età non autosufficiente viaggia su un doppio binario: da un lato l’assistenza domiciliare integrata (Adi)– l’Italia è fanalino di coda in Europa con appena 11 ore l’anno garantite – dall’altro la residenzialità.

Di entrambe c’è estremo bisogno: già oggi sono 4,5 milioni gli ultra 80enni, di cui circa 800mila novantenni; il 33% dei nuclei familiari è “single” e di questi la metà ha più di 65 anni. Gli ospiti (stimati) delle Rsa sono 290mila, con età media di 87 anni. Il 70% ha problemi di demenza.
«Molti anziani è impossibile seguirli a casa – spiega Roberto Bernabei, geriatra e componente del Comitato tecnico-scientifico – e allora invece di spingerli nell’imbuto del Pronto soccorso va organizzata una filiera assistenziale che inizi da check sistematici nello studio del medico di medicina generale a partire dai 75 anni, per stimare le potenziali fragilità. Da qui eventualmente ci si orienta per l’Adi o per la Rsa, soluzioni che devono dialogare per mettere fine a questa Babele. Nelle residenze l’umanizzazione deve passare necessariamente per le tecnologie e per un sistema di valutazione dei bisogni dell'anziano uniforme e validato a livello internazionale, come l'Interrai, che consente di costruire il “fascicolo” indispensabile per ogni monitoraggio. Intanto in ospedale vanno attivate “Unità per la fragilità”, con percorsi separati fin dal Pronto soccorso e una centrale di continuità assistenziale che al momento delle dimissioni sappia dove indirizzare l'anziano. I soldi in arrivo sono un'occasione da non sprecare», aggiunge Bernabei.

Intanto e sempre in vista della partita Recovery fund, all'Istituto superiore di sanità si lavora per dipanare il garbuglio Rsa: «Pensiamo a un sistema di monitoraggio sul modello del Piano nazionale esiti già applicato agli ospedali – afferma Graziano Onder – ma prima ancora va definito l'identikit della Rsa valido per tutto il Paese. Poi bisogna riorganizzare la governance con criteri di qualità e strumenti che rendano comparabili le strutture, e inserire d’obbligo in ogni staff almeno un responsabile medico o un direttore sanitario esperto in geriatria e infezioni. Infine – conclude Onder – vanno migliorati abitabilità e spazi con standard tecnologici che facilitino il contatto con la famiglia anche in periodi come questo, quando il Covid alla fragilità somma la sofferenza della distanza dai propri cari».

Riproduzione riservata ©

Come aprire una casa di riposo finanziamenti?

I finanziamenti a fondo perduto per aprire una casa di riposo al sud. È prevista un'agevolazione fino al 100% dei costi ammissibili, di cui il 50% con un contributo a fondo perduto e il 50% attraverso un finanziamento tutelato dal Fondo di Garanzia PMI.

Quanto si guadagna con una casa di riposo?

Le residenze devono offrire sia servizi di base (reception 24 ore al giorno, spazi comuni come bar, sala lettura e palestra) e opzionali (animazione, servizi di traporto e cura della casa e della persona). Il reddito medio degli utenti di queste strutture è stimato tra i 20 e i 30mila euro l'anno.

Quanto costa creare una casa di riposo?

E quindi medici, infermieri e altro personale sanitario qualificato in grado di prestare assistenza agli anziani. In generale comunque è possibile dire che per aprire una casa di riposo in regola potrebbero volerci inizialmente anche 250,000/500.000 euro. E in alcuni casi tale cifra potrebbe essere anche superata.

Chi può aprire una casa di riposo?

Sono d'obbligo per legge la presenza di un coordinatore responsabile in possesso di una qualifica certificata, così come di medici e infermieri in possesso delle qualifiche professionali indispensabili per aprire una casa di riposo.

Toplist

L'ultimo post

Tag