Lettera ad un amica che ha perso la mamma

Introduzione

Questa lettera è stata scritta sei mesi dopo la morte di mia madre. La scrissi a mio padre come lettera di conforto. Quando la scrissi, non pensavo di renderla pubblica, ma ora, tre anni dopo, mi sento sollecitato a farlo. Perché adesso sento il sincero desiderio di offrire questa lettera a tutti coloro che soffrono il dolore che una morte può provocare e che sono alla ricerca di una vita nuova. Nel corso degli ultimi anni sono giunto a una nuova consapevolezza di ciò che significa vivere e morire l'uno per l'altro. E, a mano a mano che cresceva in me questa consapevolezza, cominciavo a chiedermi se i frutti del nostro dolore debbano essere. assaporati in solitudine.
Come altre lettere, questa lettera ha la sua storia e vorrei iniziare a raccontarla offrendo alcune spiegazioni del motivo per cui ho deciso di scriverla.
Pochissimo tempo dopo il funerale di mia madre, nell'ottobre 1978, lasciai l'Olanda e feci ritorno negli Stati Uniti. Alcuni giorni dopo ero di nuovo tutto preso dai miei impegni, come sempre: tenevo le mie lezioni, ricevevo gli studenti, presenziavo ai consigli di facoltà, sbrigavo la corrispondenza, e facevo le tante cose che riempiono la vita quotidiana di un docente universitario. C'erano state ben poche opportunità o era praticamente mancata l'occasione di lasciare che le sofferenze e la morte di mia madre penetrassero profondamente nel mio intimo.
Nei giorni in cui mia madre stava morendo e nei giorni immediatamente successivi alla sua morte, avevo cercato di stare più che potevo vicino ai miei familiari e di occuparmi di tutti coloro che ci avevano mostrato amicizia e affetto. E poi, tornato negli Stati Uniti, lontano da casa, i tanti impegni di lavoro e le tante occupazioni non mi avevano certo aiutato a prestare ascolto al grido di dolore che io stesso avevo dentro. Ma un giorno, durante un breve intervallo nel mio ufficio, tra un appuntamento e l'altro, mi resi improvvisamente conto che non avevo versato una sola lacrima né prima né dopo la morte di mia madre. In quel momento mi accorsi che il mondo aveva su di me una tale presa da non permettermi neppure di vivere pienamente l'evento più personale, più intimo e più misterioso della mia vita. Mi sembrava che delle voci attorno a me mi dicessero: «Devi andare avanti. La vita continua; le persone muoiono, ma tu devi continuare a vivere, a lavorare, a lottare. Il passato non si può ricreare. Guarda avanti». lo avevo obbedito a queste voci: tenevo le mie lezioni con lo stesso entusiasmo di sempre, ricevevo i miei studenti e ascoltavo i loro problemi come se niente fosse accaduto, e lavoravo con la stessa energia che aveva caratterizzato la mia vita sin dal momento in cui avevo cominciato ad insegnare. Ma in quel momento mi resi conto che questo non sarebbe durato se avessi preso mia madre e me stesso veramente sul serio. Per una fortunata coincidenza - no, per un benevolo dono di Dio avevo programmato un ritiro spirituale di sei mesi presso i monaci trappisti della Abbey of the Genesee, che nel corso degli ultimi anni era diventata per me una seconda casa.
Non appena arrivai al monastero, in gennaio, fui pervaso dall'intima consapevolezza che quello sarebbe stato per me un tempo di dolore. In diverse occasioni, mentre sedevo nella mia piccola cella avvolto dal silenzio profondo del monastero, mi accorsi che dai miei occhi scendevano lacrime. Non riuscivo a capire fino in fondo quello che mi stava succedendo. Non stavo pensando a mia madre, non stavo rivivendo la sua malattia, la sua morte o il suo funerale, ma da un luogo remoto del mio intimo, dentro di me, da un luogo irraggiungibile dalla coscienza, il dolore era sgorgato e si manifestava in un pianto sommesso.
A mano a mano che i giorni e le settimane passavano, provavo un bisogno sempre crescente di vivere in maniera più piena e più diretta la perdita che le mie lacrime mi rammentavano. Ma non volevo farlo da solo. Volevo farlo con qualcuno che era in grado di comprendere veramente quello che stava accadendo dentro di me. E chi poteva comprendermi meglio di mio padre? Fu una decisione ovvia e facile, perché sin dalla morte di mia madre le sue lettere erano diventate la mia più grande fonte di conforto. In queste lettere egli mi parlava del suo dolore e degli sforzi che faceva per cercare di costruirsi una nuova vita, dotata di senso, senza di lei. Forse potevo offrirgli consolazione e conforto unendo il mio dolore al suo.
Così, cominciai a scrivere questa lettera a mio padre, una lettera per parlare con lui di colei che avevamo entrambi amato tanto, una lettera per manifestargli il mio amore e il mio affetto, una lettera per offrirgli alcune mie riflessioni sulla morte di mia madre .c.. in breve, una lettera di conforto. Scrissi e scrissi e scrissi. Una volta cominciato a scrivere, mi resi conto di quanto provavo, di quante cose volevo dire, e di quante cose erano rimaste nascoste durante i sei mesi dopo la morte di mia madre.

A chi scrivevo questa lettera? A mio padre, certo. Ma stavo scrivendo anche a me stesso. Chi veniva consolato? Mio padre, lo so; ma quando alla fine ebbi messo per iscritto le ultime parole, mi resi conto che avevo ricevuto altrettanto e forse anche più conforto e consolazione di quanto lui ne avrebbe ricevuto. Molte lettere sono così: toccano allo stesso modo lo scrivente e il destinatario.
Ora mi rendo conto che questa lettera doveva essere scritta per mio padre, per me, e forse anche per molti altri che si stavano ponendo le stesse domande che noi ci stavamo ponendo. Quando, due anni e mezzo dopo che avevo scritto questa lettera, chiesi a mio padre se non gli sarebbe dispiaciuto di renderla pubblica nella forma di un libretto, egli disse: «Se pensi che il tuo scritto sulla morte di tua madre e sul nostro dolore possa essere una fonte di speranza e di conforto per una cerchia più ampia di persone e non semplicemente per noi due, non esitare a pubblicarla».
E così, dopo aver molto riflettuto e anche grazie all'incoraggiamento di amici, sentii che sarebbe stato bene far uscire questa lettera dallaprivacy della mia vita e di quella di mio padre, ed offrirla a coloro che conoscono la stessa tenebra per la quale anche noi siamo passati e che sono alla ricerca della stessa luce.

Prego e spero di aver preso la decisione giusta.

Henri J.M.Nouwen

Caro papà

Lunedì prossimo saranno trascorsi sei mesi dalla morte della mamma. Sarà la Settimana Santa e tutti e due ci staremo preparando a celebrare la Pasqua. Come sarà questa Pasqua per noi? Tu sarai in Olanda, nella chiesa parrocchiale della nostra piccola città, ad ascoltare il racconto della risurrezione di Cristo. lo leggerò quello stesso racconto a monaci e ospiti del monastero trappista, nell'interno dello stato di New York. Tutti e due guarderemo il cero pasquale, simbolo del Cristo risorto, e penseremo non solo a lui, ma anche a lei. Le nostre menti e i nostri cuori saranno inondati di pensieri e di sentimenti che sono troppo profondi, troppo complessi e troppo intimi da esprimere. Ma sono sicuro che tutti e due penseremo alla Pasqua dell' anno scorso, quando lei era ancora con noi. Tutti e due ricorderemo quanto lei amasse questa grande festa e come le piacesse adornare la casa di fiori e la mensa pasquale di nastri gialli e purpurei. In un certo senso mi sembra che sia passato tanto, tanto tempo. Non provi anche tu la stessa impressione? Gli ultimi sei mesi avrebbero potuto essere benissimo sei anni. La sua morte ha trasformato la nostra esperienza del tempo; il breve periodo intercorso fra l'ultimo ottobre e questo aprile mi è sembrato un tempo molto strano, in cui i giorni, le settimane e i mesi sono stati tanto lunghi quanto possono sembrare a un bambino piccolo che sta facendo i primi passi. Noi abbiamo dovuto re-imparare la vita. Ogni esperienza 'normale' è diventata per noi come un'esperienza nuova. Aveva il carattere di una 'prima volta'. Quante volte abbiamo usato queste parole! Il primo Natale senza la mamma, il primo Capodanno senza la mamma, il primo anniversario di matrimonio senza la mamma. Ed ora sarà la prima Pasqua senza la mamma. So che in mille occasioni ti sei chiesto, come me: «Come sarà senza di lei?». È impossibile ricordare uno qualsiasi di questi eventi staccandoli dalla sua presenza, perché ne faceva intimamente parte. Non possiamo più immaginare come vivremo in questi giorni e in queste ricorrenze familiari, come ci sentiremo. Tali occasioni, infatti, non sono più familiari. Ci sono diventate estranee. Ci siamo improvvisamente resi conto di quanto intimamente i nostri pensieri, sentimenti e percezioni fossero determinati dalla sua presenza. La Pasqua era non solo un giorno importante da celebrare, ma una giornata da celebrare insieme a lei, un giorno nel quale ascoltavamo la sua voce, preceduto e preparato dalle lettere che lei soleva scrivere, una giornata in cui sentivamo la sua presenza attiva - a tal punto che non riuscivamo a distinguere fra la gioia che la festa suscitava in noi e l'allegria che la sua presenza in questa festa faceva nascere in noi. Erano diventate tutt'uno. Adesso invece siamo costretti a fare una distinzione, e siamo diventati come bambini che devono imparare a fare le cose per la prima volta da soli.
Esperienze nuove come queste hanno reso gli ultimi sei mesi un tempo strano per noi. La sua morte è diventata una morte continua. Ogni volta che vivevamo un altro evento senza di lei,. il senso della sua assenza si rinnovava. Andavamo acquistando sempre più la consapevolezza dei legami profondi con lei, legami che avevamo dimenticato per un certo tempo, ma che venivano riportati alla coscienza dal movimento progressivo della storia, che andava avanti comunque. E ogni volta lei moriva di nuovo dentro di noi. Il ricordare quello che lei aveva fatto, detto o scritto in certe occasioni rafforzava la nostra consapevolezza che lei non era più con noi, e il nostro dolore si acutizzava.
Il dolore vero non viene guarito dal tempo. È falso pensare che il passare del tempo ce la farà a poco a poco dimenticare e che cancellerà il nostro dolore. lo desidero veramente darti conforto con questa lettera, ma non facendoti credere che il tempo cancellerà il tuo dolore e che nell' arco di uno, due, tre o più anni non sentirai più così intensamente la sua mancanza. In questo caso, non solo mentirei, ma sminuirei l'importanza della vita della mamma, sottovaluterei la profondità del tuo dolore, e relativizzerei erroneamente la potenza dell' amore che vi ha tenuti legati, la mamma e te, per quarantasette anni.
Se mai il tempo fa qualcosa, è intensificare il nostro dolore. Più a lungo vivremo, più pienamente diverremo consapevoli di chi è stata lei per noi, e più intimamente sperimenteremo ciò che il suo amore ha significato per noi. L'amore vero e profondo, come sai, è molto poco appariscente, apparentemente semplice e ovvio, e così presente che finiamo col darlo per scontato. Di conseguenza, spesso è solo in retrospettiva - o meglio, nel ricordo - che ci rendiamo pienamente conto della sua forza e profondità. Sì, certo, l'amore spesso si rende visibile nel dolore. Il dolore che ora noi proviamo ci rivela quanto è stato profondo, totale, intimo e immenso il suo amore.
È una consolazione questa? Questo porta conforto? Sembra che io stia facendo esattamente il contrario e che non stia consolando per niente. Forse è così. Forse queste parole non faranno altro che moltiplicare le tue lacrime e rendere più intenso il tuo dolore. Ma per me, tuo figlio, che soffre con te, non c'è un altro modo. Voglio confortarti e consolarti, ma non in modo da negare il vero dolore ed evitare tutte le ferite. Ti scrivo questa lettera nella ferma convinzione che la realtà può essere affrontata e dominata con una mente aperta e con un cuore aperto, e credendo profondamente che consolazione e conforto si devono trovare laddove le nostre ferite ci fanno più male.
Perciò, quando ti scrivo che il nostro ricordare ci renderà consapevoli non solo dell'immensità dell'amore della mamma, ma anche del dolore immenso che il distacco da lei ci ha arrecato, lo faccio avendo in mente una domanda cui è difficile dare risposta: «Perché è morta lei prima. di noi e perché siamo noi a dover portare il peso del dolore?». Ti devi essere posto questa domanda tante volte. Hai vissuto sempre con l'indiscussa sicurezza che saresti morto tu prima della mamma. Ne eri intimamente certo non semplicemente perché avevi tre anni più di lei o perché la sua salute era sembrata sempre migliore della tua, ma perché sentivi che lei sarebbe stata più capace di continuare a vivere senza di te, che non tu senza di lei. Perché allora sei tu quello che deve ricominciare a vivere senza di lei, e perché sei tu quello che è "arrivato a conoscerla non solo nella gioia della sua presenza, ma anche nel dolore della sua assenza? A lei è stato risparmiato il dolore della tua morte; lei non ha mai dovuto affrontare l'esperienza di una vita senza di te. Tutto il peso del dolore è stato caricato addosso a te, e a te è stato affidato il terribile compito di scoprire il suo amore non solo nella vita, ma anche nella morte. Perché? Anche se io ho 29 anni meno di te, e anche se la 'logica della vita' dice che i genitori muoiono 'prima dei loro figli, per me la domanda non è diversa, perché l'amore non conosce 'orologio'.
Ti scrivo questa lettera consapevole di questa grande domanda. Voglio esplorare con te e per te il significato della sua morte e della nostra vita, e della sua vita e della nostra morte. Nelle lettere che tu mi hai scritto sin dal momento della sua morte lettere più ricche e più intense di tutte quelle che mi avevi scritto prima - h,ai sollevato tu stesso il problema della morte. Sin da quando, in ospedale, vedemmo il suo volto immobile, abbiamo cominciato a chiederci che cos' è realmente la morte. È una domanda con la quale la mamma ci ha lasciati, e noi vogliamo affrontarla, penetrarla ed esplorarla, e lasciare che essa cresca dentro di noi. Ma così facendo forse possiamo essere capaci di confortarci a vicenda. Sarà una strada difficile da percorrere, ma se la percorreremo insieme, forse avremo meno paura. Sono contento, quindi, di avere in questo tranquillo e silenzioso monastero trappista la possibilità di scriverti questa lettera, e sono contento specialmente di poterti scrivere nei giorni in cui tutti e due ci stiamo preparando a celebrare la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.

I.

Spesso la grande distanza che c'è tra noi mi fa sentire triste. Anche se sono sempre stato contento di vivere negli Stati Uniti, da quando la mamma è morta ho avvertito più di prima la distanza che mi impedisce di esserti di maggiore aiuto e sostegno in questi mesi difficili. Lettere regolari e telefonate occasionali sono un surrogato del tutto inadeguato dell'essere insieme. E tuttavia il paradosso di tutto questo è che la distanza fra di noi, che sembrava a prima vista una realtà negativa, alla fine si può rivelare davvero positiva. Se io vivessi ancora in Olanda e avessi la possibilità di venirti a trovare ogni fine settimana e di telefonarti ogni giorno, probabilmente non sarei mai stato capace di farti conoscere i miei sentimenti più profondi sulla mamma e su di te. Non è forse vero che è molto più difficile dirsi cose profonde e intime che scriversele? Non ci fa molta più paura esprimere l'uno all'altro i nostri sentimenti più profondi mentre siamo seduti intorno alla tavola della prima colazione che non quando l'Oceano Atlantico ci separa? Abbiamo trascorso tante ore a guardare la televisione insieme da quando la mamma è morta. Spesso abbiamo mangiato insieme a casa o al ristorante, abbiamo fatto brevi cavalcate insieme nei boschi. Ma di rado, molto di rado abbiamo parlato di ciò che era più vicino al nostro cuore. Era come se la vicinanza fisica fosse di ostacolo alla vicinanza spirituale che entrambi desideravamo. Non sono sicuro di capirlo io stesso fino in fondo, ma sembra che noi non siamo gli unici per i quali questo risulta vero. La vicinanza fisica e la vicinanza spirituale sono due cose molto diverse, e possono - anche se non accade sempre - inibirsi a vicenda. La grande distanza fra noi può metterci nelle condizioni di sviluppare un rapporto che potresti non essere capace di sviluppare con gli altri tuoi figli ,e le loro famiglie che vivono così vicini a te.
Un risultato evidente della nostra distanza è che hai cominciato a scrivermi delle lettere. Da quando la mamma è morta, tu non solo mi hai scritto più spesso, ma le tue lettere sono diverse. Questo ha significato molte cose per me durante gli ultimi sei mesi. Mi ero talmente abituato alle lettere settimanali della mamma, nelle quali mi raccontava tutti gli eventi familiari, grandi e piccoli, e mi manifestava continuamente il suo interesse per la mia vita personale con tutti i suoi alti e bassi, che il pensiero della loro mancanza improvvisa mi atterriva. Tu solevi scrivermi molto di rado, e quando lo facevi, le tue lettere erano per lo più riflessioni di carattere generale, quasi filosofiche; non rivelavano molto della tua reale attività, le tue preoccupazioni o i tuoi sentimenti. Sembrava sempre come se tu sentissi che era la mamma quella che si curava dei rapporti personali. Mi ricordo quante volte eri solito ripetermi, ogni volta che ripartivo per tornare negli Stati Uniti: «Non dimenticare di scrivere alla mamma». Era quasi come se tu non fossi veramente interessato a ricevere mie notizie e fossi preoccupato principalmente che la mamma ed io rimanessimo in stretto contatto. Non penso che questo fosse vero. Al contrario, penso che ti interessasse molto ricevere mie notizie, ma tu di solito lasciavi alla mamma il compito di esprimere l'amore, la sollecitudine e l'interesse verso di me che tu condividevi con lei. A volte questo appariva persino buffo. Ogni volta che vi telefonavo, mi stupivo che tu prendessi per scontato che in realtà avevo chiamato la mamma. È sempre stato difficilissimo tenerti al telefono per più di pochi secondi. Dopo avermi rassicurato che stavi bene tagliavi subito corto e dicevi: «Bene, ecco la mamma». Sapevo che una mia telefonata ti rendeva felice, ma la tua felicità sembrava derivare dalla gioia e dalla gratitudine della mamma.
Adesso invece non puoi più nasconderti dietro a lei, che non c'è più. E hai veramente fatto dei passi avanti! Mi hai scritto lettere altrettanto personali e affettuose come quelle della mamma. Davvero, e anche di più. E proprio come una volta non vedevo l'ora di ricevere le lettere della mamma, ora aspetto con impazienza le tue. Adesso non solo so - come lo sapevo prima - che sei interessato alla mia vita, ma posso anche vederlo espresso nelle tue parole scritte. Ed ora accetti il fatto semplice e vero che io ti scrivo solo per te, e che telefono solo a te.
Più penso a questo, e più mi rendo conto che la morte della mamma ti ha fatto fare dei passi avanti in un modo che prima ti era impossibile. Forse quello che sto dicendo è ancora poco: forse devo dire che hai trovato in te stesso la capacità di essere non solo un padre, ma anche una madre. Hai trovato in te stesso quel medesimo dono della compassione che suscitava nella mamma tanto amore e tanta sofferenza. Hai cominciato a comprendere con maggior chiarezza la solitudine di tuoi amici e a condividere di più la loro ricerca di compagnia; hai cominciato a provare più profondamente le paure di coloro che come te sono rimasti vedovi e a sperimentare con maggiore intensità il mistero della morte. E, se così posso dire, hai scoperto di avere un figlio che è stato solo sin dal momento in cui ha lasciato la vostra casa. Il farmi prete per me ha infatti significato intraprendere la strada della 'lunga solitudine', come l'ha definita Dorothy Day, e i miei molti viaggi materiali e spirituali hanno reso ancor più profonda questa esperienza. Questa lunga solitudine è ciò che mi ha fatto sentire così straordinariamente vicino alla mamma, e che mi ha fatto sentire così smarrito quando è venuta a mancare. Ma adesso non è forse questo anche il fondamento per una solidarietà unica tra di noi? Non ho ragione se penso che tu, che sei noto e temuto per la tua ironia e il tuo sarcasmo, per la tua intelligenza arguta e per le tue analisi critiche - tutte qualità che hanno fatto di te un avvocato tanto apprezzato - stia ora lasciando che la tua parte più tenera e dolce abbia maggior risalto e stia ora sperimentando un legame nuovo con coloro che ti sono cari?
Nel matrimonio c'è sempre questa strana tendenza a dividere i ruoli, anche i ruoli psicologici. E la nostra cultura certamente incoraggia questa divisione: la mamma ha il compito di dedicarsi tutta ai figli, e il tuo è quello di provvedere al sostentamento materiale; la mamma deve essere gentile e comprensiva, mentre tu devi essere severo ed esigente; la mamma deve essere ospitale e sensibile, tu riservato e rigoroso. In realtà, a te piaceva anche giocare con queste differenze e farle notare nei tuoi commenti, mentre si cenava. Adesso invece non c'è nessuna qualità da dividere, e tu sei sollecitato a lasciar sviluppare più pienamente in te stesso ciò che tanto ammiravi nella mamma. Intuisco persino che il ricordo della mamma e del modo con cui lei ha vissuto la sua vita con te ti farà coscientemente desiderare di lasciare che le sue qualità rimangano visibili per i vostri figli e i vostri amici - visibili in te.
Non si tratta di imitare la mamma. Non devi dire: «Farò le cose nello stesso modo in cui la mamma era abituata a farIé». Questo sarebbe artificioso e non le farebbe certo onore. No, tu devi diventare ancor più te stesso, devi esplorare quegli ambiti della vita che sono sempre stati parte di te, ma che sono rimasti in qualche modo inattivi in presenza della mamma. Penso che abbiamo entrambi un compito nuovo e importante. È il compito di essere padre, figlio e amico in un modo nuovo, un modo che la mamma ha reso possibile non solo attraverso la sua vita, ma anche attraverso la sua morte. Quando Gesù diceva che il chicco di grano deve morire per portare un ricco frutto, non parlava solo della sua propria morte, ma indicava il significato nuovo che stava dando alla nostra morte. Così, dobbiamo chiederei: «Dove potremo vedere il ricco frutto nato dalla morte della mamma?». Dentro di me non ho il minimo dubbio che questo frutto stia diventando visibile prima di tutto in coloro che l'hanno amata di più. Il nostro profondo amore per lei ci permette di essere i primi a cogliere questo frutto e a condividere con gli altri i doni della sua morte.
Non è da qui che dobbiamo partire se vogliamo scoprire il senso della morte della mamma? Prima di ogni altra cosa, dobbiamo entrare in contatto - sì, addirittura pretenderlo - con la misteriosa realtà della nuova vita in noi. Altri potrebbero vederla, sentirla e goderla prima di noi. Questo è il motivo per cui te ne scrivo. Noi possiamo aiutarci l'un l'altro a vedere questa nuova vita. Questa sarebbe vera consolazione. Questo potrebbe farci sperimentare nel nucleo più intimo del nostro essere che il dolore che la morte della mamma ha provocato in noi ci ha condotti verso un nuovo modo di essere in cui la distanza fra madre, padre o figlio lentamente si dissolve. Così, la nostra separazione dalla mamma ci porta ad una nuova unità interiore e ci invita a fare di questa nuova unità una fonte di gioia e di speranza l'uno per l'altro e anche per gli altri.

II.

Come ho detto prima, la morte della mamma ha suscitato in noi in maniera più diretta ep esplicita il problema della morte in sé. Il problema della morte, tuttavia, se lo pone chi non è lui stesso prossimo alla morte. Tu stesso me lo hai fatto capire quando mi hai ricordato quanto la mamma parlasse della propria morte quando non c'era alcun pericolo, mentre non la nominava affatto quando stava veramente per morire. Sembra davvero importante che affrontiamo la morte prima di trovarci in reale pericolo di vita e che riflettiamo sulla nostra mortalità prima che tutta la nostra energia conscia e inconscia sia concentrata sulla lotta per sopravvivere. È importante essere preparati alla morte, molto importante; ma se noi cominciamo a pensarci solo quando siamo malati terminali, le nostre riflessioni non ci daranno il sostegno di cui avremo bisogno. Noi ora godiamo di buona salute. Ci interroghiamo sulla morte, sulla morte della mamma e sulla nostra morte, non perché siamo prossimi alla morte, ma perché ci sentiamo abbastanza forti per sollevare il problema della nostra fondamentale debolezza umana.
Voglio raccogliere la provocazione di questa domanda. Questo sembra davvero essere il tempo opportuno non solo per te, ma anche per me. Entrambi dobbiamo chiederci che cosa significa la morte della mamma, ed entrambi siamo messi a confronto in un modo nuovo con la nostra morte. Il fatto che tu abbia 'già' settantasei anni e io 'solo' quarantasette non è un vero ostacolo ad una meditazione comune sulla morte. Penso, infatti, che la morte della mamma abbia reso quasi irrilevante la differenza d'età fra di noi, così che la prospettiva di morire e la morte non sono realmente diverse per te e per me. Una volta che abbiamo raggiunto la cima della montagna, non fa molta differenza in quale punto della strada che scende scattiamo una foto della vallata finché non ci troviamo nella valle stessa.
Penso, allora, che il nostro primo compito sia quello di fare amicizia con la morte. Mi piace questa espressione: 'fare amicizia'. La sentii usare per la prima volta dallo psicoanalista junghiano James Hillman al tempo in cui frequentava un seminario sulla spiritualità cristiana che tenevo alla Yale Divinity School. Hillman sottolineava l'importanza del 'fare amicizia': fare amicizia con i propri sogni, fare amicizia con la propria ombra, fare amicizia con il proprio inconscio. Egli ha chiarito in maniera convincente che per diventare esseri pienamente umani dobbiamo rivendicare la totalità della nostra esperienza; giungiamo alla maturità integrando non solo la luce, ma anche il lato oscuro della nostra vita nella nostra personalità. Questo per me ha significato moltissimo, dal momento che ho una certa familiarità con la mia propria inclinazione, e con quella degli altri, ad evitare, negare o reprimere il lato doloroso della vita, una tendenza che porta sempre a un danno fisico, mentale o spirituale.
E non è forse la morte la terribile sconosciuta che sta in agguato nei recessi più profondi del nostro inconscio, come una grande ombra inquietante che percepiamo solo confusamente nei nostri sogni? Fare amicizia con la morte sembra essere il fondamento di tutte le altre forme di familiarizzazione. Ho il senso profondo, difficile da esprimere a parole, che se potessimo veramente fare amicizia con la morte, noi saremmo donne e uomini liberi. Tantissimi nostri dubbi ed incertezze, tante nostre ambivalenze ed in sicurezze sono legate alla nostra paura della morte, così profondamente radicata in noi che la nostra vita sarebbe notevolmente diversa se potessimo trattare la morte come se fosse un ospite familiare piuttosto che un terrificante estraneo.
Nel libro Nacht und Nebel [Notte e nebbia], lo scrittore olandese Floris Bakels racconta delle proprie esperienze nelle prigioni e nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Bakels ha chiarito molto bene quale potere può avere un uomo che ha fatto amicizia con la propria morte. So quanto ti ha commosso questo libro, e sono stato contentissimo della copia che ho appena ricevuto. Non diresti che Floris Bakels è stato capace di sopravvivere agli orrori di Dachau e di altri campi di sterminio, e di raccontare quelle esperienze trentadue anni dopo, proprio perché aveva 'fraternizzato' con la morte? Sembra, almeno sembra a me, che Floris Bakels abbia detto in molti modi diversi ai suoi aguzzini SS: «Voi non avete alcun potere su di me, perché io sono già morto». La paura della morte spesso ci porta dritti alla morte, ma 'facendo amicizia' con la morte, possiamo affrontare la nostra mortalità e scegliere la vita liberamente.
Ma in che modo possiamo fare amicizia con la morte? Nel corso di questi ultimi anni hai visto morire tante persone - anche persone che conoscevi molto bene. Queste morti ti hanno turbato, scioccato, sorpreso e ti hanno anche addolorato, ma quando morì la mamma parve come se la morte ti si fosse presentata per la prima volta. Perché? lo penso perché l'amore - l'amore umano profondo - non conosce la morte. Il modo in cui tu e la mamma eravate diventati una cosa sola, e il modo in cui questa unità si era andata rafforzando nel corso di quarantasette anni di matrimonio, non ammette una fine. Il vero amore dice: «Per sempre». L'amore aspirerà e tenderà sempre all' eterno. L'amore proviene da quella zona dentro di noi in cui la morte non può entrare. L'amore non ammette i limiti di ore, giorni, settimane, mesi, anni, o secoli. L'amore non è disposto a farsi imprigionare dal tempo.
Ecco perché la morte della mamma è stata per te un' esperienza così totalmente diversa dalla morte di tante altre persone che hai conosciuto. Nel nucleo più intimo del tuo essere, tu - il tuo amore - non potevi accettare che lei ti lasciasse in maniera così drastica, così radicale, così totale e così irreparabile. La sua morte andava direttamente contro le tue intuizioni più profonde. E così potei comprenderti molto bene quando mi scrivesti che la morte della mamma aveva suscitato in te la domanda generale sul significato della morte. Qualcuno potrebbe dire: «Come mai gli ci è voluto tanto tempo prima di porsi questa domanda? Ha 77 anni, e solamente adesso si interroga sul significato della morte». Ma chi dice così non capisce che solo la mamma poteva suscitare in te questo interrogativo, perché nel suo morire ti si è rivelata nella sua pienezza la vera assurdità della morte. Solo la sua morte poteva suscitare nel tuo profondo la ribellione e la protesta, e poteva farti urlare dentro di te: «Perché il nostro amore non è riuscito ad impedirle di morire?».
Tuttavia, lo stesso amore che rivela l'assurdità della morte ci permette anche di fare amicizia con la morte. Lo stesso amore che costituisce il fondamento del nostro dolore è anche il fondamento della nostra speranza; lo stesso amore che ci fa urlare di dolore ci deve anche rendere capaci di sviluppare un'intimità liberante con la nostra propria caducità strutturale. Senza la fede, questo può apparire come una contraddizione. Invece la nostra fede in colui il cui amore vince la morte e che è risuscitato dalla tomba il terzo giorno, trasforma questa contraddizione in un paradosso, il paradosso più salutare della nostra esistenza. Floris Bakels sperimentò questa realtà in maniera straordinaria. Egli giunse a vedere e a sentire che il potere dell'amore è più forte del potere della morte, e che è proprio vero che «Dio èamore». Circondato da persone che morivano per la fame, le torture e il totale sfinimento, e sapendo molto bene che ogni ora poteva essere per lui l'ultima, egli trovò nel nucleo più intimo del suo essere un amore così forte e così profondo che la paura della morte perse il suo potere su di lui. Per Floris Bakels questo amore non era un sentimento generico o un'emozione, e neppure l'idea astratta di un benevolo Essere Supremo. No, era l'assolutamente concreto, reale ed intimo amore di Gesù Cristo, Figlio di Dio e redentore del mondo. Con tutto il suo essere egli sapeva di essere amato con un amore infinito, abbracciato in un abbraccio eterno e circondato da una sollecitudine incondizionata. Questo amore per lui era così concreto, così tangibile, così diretto e vicino che la tentazione di intérpretare questa esperienza religiosa come la fantasia di una mente alterata e vacillante non ebbe molta presa su di lui. Più profondamente e più pienamente andava sperimentando l'amore di Cristo, e più giungeva a vedere che i molti amori della sua vita - l'amore dei suoi genitori, di suo fratello e delle sue sorelle, di sua moglie e dei suoi amici erano riflessi del grande 'primo' amore di Dio.
Sono convinto che fu l'amore di Dio, intensamente percepito - percepito in e per mezzo di Gesù Cristo - che permise a Floris Bakels di affrontare la propria morte e la morte degli altri in maniera così diretta. Fu questo amore a dargli la libertà e l'energia di aiutare uomini in agonia e a rendergli possibile riprendere una vita normale dopo essere ritornato dall'inferno di Dachau.
Sto scrivendo tanto di Bakels perché so che tu, essendo della sua stessa generazione e svolgendo la stessa professione, puoi comprenderlo molto bene e il tuo orecchio sarà particolarmente sensibile alla sua vicenda. Egli può davvero mostrarti meglio degli psicologi o degli psicoanalisti che cosa significa fare amicizia con la morte.
Anche se tu ed io abbiamo provato - anche noi - il terrore del nazismo, tu come giovane uomo costretto a nascondersi per sfuggire alla deportazione ed io come fanciullo impaurito, e anche se tutti noi dovemmo lottare duramente per sopravvivere durante quell'atroce 'inverno della fame' del 1944-45, a noi furono risparmiati gli orrori dei campi di concentramento e non ci toccò di stare faccia a faccia con la morte, nel modo in cui toccò a Floris Bakels. Noi, quindi, non fummo costretti a fare amicizia con la morte in età così giovane. Ma la morte della mamma ci invita a farlo adesso. Molte persone sembrano non fare mai amicizia con la morte e muoiono come se stessero perdendo una battaglia senza speranza. Ma noi non dobbiamo condividere questo triste destino. La morte della mamma ci può condurre a quella libertà di cui Bakels scrive; ci può rendere profondamente consapevoli che il suo amore era un riflesso di un amore che non muore e non può morire - l'amore che noi due riaffermeremo nuovamente la Domenica di Pasqua.

III.

Non intendo assolutamente affermare che hai continuamente represso o negato la tua mortalità. In realtà, conosco poche persone che siano state così aperte nei confronti della propria morte. In momenti diversi hai parlato della tua morte in pubblico e in privato, ad estranei e ad amici, in tono scherzoso o seriamente. Talvolta hai persino messo in imbarazzo la mamma e i vostri ospiti con la tua franchezza! Mi ricordo che in diverse occasioni osservasti con che rapidità le nostre 'grandi vite' vengono dimenticate e che vita breve hanno i pietosi ricordi dei nostri amici e colleghi. Ricordo come mi parlasti e mi dicesti, prima di partire con la mamma per un lungo viaggio in Brasile, che cosa avrei dovuto fare se, in caso di incidente mortale, aveste perso la vita entrambi. E ricordo come, in maniera molto concreta e realistica, tu speravi che i vostri figli e i vostri amici avrebbero reagito alla vostra morte: senza drammi. Talvolta le tue parole sulla tua morte avevano un tono sarcastico, e palesavano un desiderio di smascherare il sentimentalismo e il falso romanticismo.
Ti divertivi persino a turbare lievemente i pii sentimenti dei tuoi amici e a mettere alla prova il tuo e il loro senso della realtà. Ma generalmente le tue parole erano serie e dimostravano che stavi davvero riflettendo sulla fine della tua vita. Perciò è affatto evidente che non vivevi come se la tua vita dovesse continuare per sempre. Sei troppo intelligente e realista per questo.
E ancora, nascosti dentro di noi ci sono livelli di non-conoscenza, di non-comprensione e di non-percezione che ci si possono rivelare solo nei nostri momenti di forte crisi. Per alcune persone tali momenti non vengono mai, per altre vengono di frequente. Per alcuni arrivano presto, per altri arrivano molto tardi. Potremmo pensare di avere una certa concezione di 'quello che è la vita' fino a che non sopraggiunge una crisi inattesa a farci perdere il nostro equilibrio, una crisi che ci costringe a rivedere i nostri presupposti più fondamentali. In realtà non sappiamo mai veramente fino a che profondità le nostre vite sono ancorate ad un fondamento solido e fino a che punto sono stabili, e l'esperienza della crisi può rivelare dimensioni della vita che noi non avevamo mai saputo esistessero.
La morte della mamma è certamente una delle esperienze più cruciali della vita tua e mia, forse la più decisiva. Prima della sua morte, era impossibile sapere anche solo vagamente che cosa avrebbe provocato in noi. Ora stiamo cominciando ad avvertire il suo impatto. A poco a poco siamo in grado di capire dove la sua morte ci sta portando. Sta nascendo un confronto nuovo con la morte, un confronto che non avremmo mai potuto attuare noi da soli. Ogni cosa che sentivamo, dicevamo o pensavamo sulla morte in passato era sempre nella portata delle nostre capacità emozionali o intellettuali. In un certo senso, rimaneva all'interno del campo della nostra influenza e del nostro controllo. Osservazioni e idee sulla nostra morte rimanevano le nostre osservazioni e le nostre idee, ed erano quindi soggette alla nostra immaginazione e creatività. Ma la morte della mamma era totalmente al di fuori del campo del nostro controllo o della nostra influenza. La sua morte ci ha lasciati impotenti. Mentre notavamo che il suo contatto con noi si andava lentamente perdendo e ci stava abbandonando per sempre, non potemmo fare altro che restare accanto al suo letto e lasciare impotenti che la morte esercitasse il suo inesorabile potere. Questa esperienza non è un esperienza alla quale possiamo veramente prepararci. È così nuova e così angosciante che tutte le nostre precedenti speculazioni e riflessioni appaiono banali e superficiali in presenza della realtà grandiosa e terribile della morte. Così, la morte della mamma trasforma il problema della morte in un problema nuovo. Essa ci schiude a livelli della vita che prima non avremmo mai potuto raggiungere, anche se avessimo avuto il desiderio di raggiungerli.
Che cosa ha prodotto in te la morte della mamma? Non so e non lo posso sapere, perché è qualcosa di così intimo che nessuno può penetrare completamente nell'universo delle tue emozioni. Ma se la tua esperienza della sua morte è in qualche modo simile alla mia, sei stato 'invitato' - come lo sono stato io - a riconsiderare tutta quanta la tua vita. La morte della mamma ti ha fatto fermare e guardare indietro in un modo come prima non avevi mai fatto. Improvvisamente ti sei trovato in una situazione che ti ha indotto a rivedere i molti anni della tua vita - la tua vita di studente, di giovane professionista, di brillante avvocato, di apprezzato docente - a volo d'uccello. Ricordo che mi dicesti che avresti potuto catturare la tua storia lunga e complessa in un unico nitido quadro, e che dal punto di vista della morte della mamma, la tua vita aveva perso molto della sua complessità e che si poteva riassumere in poche righe essenziali. In tal modo, la sua morte ti ha dato occhi nuovi con cui guardare la tua vita e ti ha aiutato a distinguere fra i molti aspetti accidentali e i pochi elementi essenziali.
La morte certamente semplifica; la morte non tollera ombreggiature e sfumature senza fine. La morte mette a nudo ciò che conta realmente, e in questo modo si fa tuo giudice. Mi sembra che abbiamo vissuto entrambi questa esperienza dopo la morte e il funerale della mamma. Durante gli ultimi sei mesi abbiamo ripensato alla nostra vita con la mamma. Per te questo ha significato aprire dei cassetti che per anni erano rimasti chiusi; guardare fotografie della cui stessa esistenza ti eri dimenticato; leggere vecchie lettere ingiallite e gualcite dal tempo; e prendere in mano libri sui quali si era andata posando tanta polvere. Per me questo ha significato rileggere le lettere che lei mi ha scritto, guardare di nuovo i regali che mi ha portato quando mi veniva a trovare; e recitare con rinnovata attenzione i salmi che tanto spesso abbiamo recitato insieme. Eventi per lungo tempo dimenticati sono riaffiorati alla memoria come se fossero accaduti solo di recente. Mi sembrava come se potessimo mettere le nostre vite intere sul palmo delle mani, come piccole pietre preziose, e contemplarle con tenerezza e ammirazione. Come sono piccole, belle e preziose!
Penso che dal punto di vista della morte della mamma e della nostra propria mortalità, possiamo ora guardare la nostra vita come un lungo processo di mortificazione. Tu hai una certa familiarità con questa parola. I preti la usano molto durante la Quaresima. Dicono: «Devi mortificarti». Questo imperativo ha un suono sgradevole, aspro e moralistico. Ma la mortificazione - letteralmente 'fare la morte' - è la sostanza stessa della vita, una lenta scoperta della mortalità di tutto ciò che è creato, così che noi possiamo apprezzare la sua bellezza, senza aggrapparci ad esso come se fosse una nostra proprietà permanente. La nostra vita può veramente essere considerata come un processo che ci porta gradualmente a familiarizzarci con la morte, come una scuola che insegna l'arte del morire. Non intendo questo in maniera morbosa. Al contrario, quando percepiamo la vita costantemente relativizzata dalla morte, possiamo goderla per quella che è: un dono gratuito. Le fotografie, le lettere e i libri del passato ci rivelano che la vita è come un dire continuamente addio a luoghi meravigliosi, a persone positive e a esperienze bellissime. Guarda le foto dei tuoi figli quando potevi giocare con loro sul pavimento del tinello. Con che rapidità hai dovuto dire loro addio! Guarda le istantanee scattate durante le tue gite in bicicletta con la mamma in Bretagna verso la metà degli anni '30. Quanto poche sono state le estati nelle quali questi viaggi sono stati possibili! Leggi le lettere che la mamma ti scriveva mentre ti trovavi ad Amalfi, in convalescenza da una malattia, e le lettere che io ti scrissi dal mio primo viaggio in Inghilterra. Ora esse ci parlano di momenti fugaci. Guarda le fotografie del matrimonio dei tuoi figli e la Bibbia che ti diedi il giorno della mia ordinazione. Tutti questi momenti sono passati oltre, se ne sono andati, come amici che ci hanno fatto una breve visita, lasciandoti con dei ricordi belli, ma anche con la triste consapevolezza della brevità della vita. In ogni arrivo c'è un commiato; in ogni ricongiungimento c'è una separazione; nel processo di crescita di ognuno c'è anche un diventare vecchi; in ogni sorriso c'è una lacrima; e in ogni successo c'è una sconfitta. Tutto ciò che vive sta a poco a poco morendo, e ogni festa è anche mortificazione.

Anche se questo avveniva costantemente, in ogni attimo della nostra vita ricca e piena di eventi e di persone, non lo percepivamo con la stessa acutezza con cui lo percepiamo adesso. C'era talmente tanta vita, tanta vitalità, e tanta esuberanza che la presenza della morte era meno incombente e la riconoscevamo solo nel modo in cui riconosciamo la nostra ombra in un giorno di sole. Ci sono stati momenti di dolore, di tristezza, di disillusione; ci sono state malattie, sconfitte, conflitti e preoccupazioni. Ma tutto questo veniva e se ne andava come le stagioni dell'anno, e le forze della vita si rivelavano sempre vittoriose. Poi la mamma morì. La sua morte fu una fine definitiva, uno squarcio totale che si presentava con una 'definitività' diversa da ogni altra. Per qualche tempo, continuammo a vivere come se lei se ne fosse semplicemente andata via per un po' e potesse ritornare da un momento all'altro. Continuammo persino a fare cose come se ci stessimo preparando al momento in cui lei sarebbe apparsa nuovamente sulla porta. Ma, a mano a mano che i giorni passavano, il nostro cuore veniva sempre più invaso dalla consapevolezza che lei se n'era andata per sempre, per non tornare mai più. E fu allora che il dolore vero cominciò a devastarci. Fu allora che ci volgemmo al passato e ci accorgemmo che la morte era stata sempre presente nella nostra vita e che i molti addii e i molti commiati ci stavano in un certo senso preparando a questa ora buia. E fu allora che ci ponemmo in modo completamente nuovo il problema del significato della morte.

Cosa dire a una persona che ha subito un lutto?

La vostra perdita ci ha molto colpiti, sentite condoglianze. L'espressione del nostro cordoglio Vi giunga in una così triste circostanza. Nella terribile solitudine del dolore, vi esprimiamo il nostro cordoglio. Non potendo essere vicino a voi in questa triste circostanze sappiate che il mio affetto è con voi.

Quando viene a mancare la mamma frasi?

Ora che te ne sei andata per sempre rimpiango tutte le opportunità sprecate e vorrei che fossi ancora qui, per dirti quanto ti amo. Mi manchi tanto. Mi manchi tanto mamma. Ho perso il piacere della tua compagnia, la gratuità del tuo affetto, la serenità dei tuoi giudizi, ho perso la tua quiete e la tua comprensione.

Come dare le condoglianze ad una amica?

Frasi condoglianze formali: i migliori messaggi Le faccio le mie più sentite condoglianze per la sua perdita. Un caro saluto. Tutto l'ufficio si unisce al suo dolore e le è vicino in un momento così duro. Le nostre più sentite condoglianze a lei e famiglia.

Quando avrai perso tua madre non ci sarà nessuna persona?

Quando avrai perso tua madre, non ci sarà nessuna persona che si preoccuperà di te allo stesso modo in cui lo faceva lei. Quando perderai tua madre, il tuo mondo cambierà. Ti sveglierai una mattina col mal di gola, proverai a dirlo a qualche caro, ma non ci baderanno molto.

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